mercoledì 5 febbraio 2014

Diciannove.

Schizzo a penna. Rapido e indolore.


"Nella mia ebbrezza, vorrei ci fosse ancora un po’ di tempo.
Perché il tempo mi corrode le mani. E gli occhi. E le orecchie.
E non posso più ascoltare.
Ogni nota è come l’ultimo bacio.
L’ultimo abbraccio.
L’ultima carezza, con il senno di poi.

Conto i gradini che ho dovuto salire ogni notte per arrivare alla casa di legno illuminata.
Bussando tre volte alla porta; aspettando che qualcuno mi aprisse per riempire di luce le mie ferite.
Conto tutti gli occhi sbagliati che ho fissato nel profondo, fino ad affogarci dentro.

Nella mia volubilità, mi sento sorridere e non prendo sonno.
Nella mia incostanza, so che tra di noi ci sono chilometri e chilometri di cose che adesso non hanno nessuna importanza.

E alla fine di tutto, non muovere un dito.

Sollevarsi la pelle per controllare che ogni solco sia al suo posto.
Spolverare i ricordi di tanto in tanto, per avere ancora qualcosa di cui scrivere.
Allungare le mani e toccare il niente.

Niente."